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'Una relazione delle mie calamitati:' La Lettera dalla Prigionia di Ferrante Pallavicino (1641)

Abstract

«Una relazione delle mie calamitati». La Lettera dalla Prigionia di Ferrante Pallavicino (1641).

Ferrante Pallavicino (1615-1644) concluse sul patibolo avignonese, prima di compiere il ventinovesimo anno d’età, la parabola di contestazione, successo e persecuzioni cui la sua produzione vasta e torrentizia lo aveva condotto. Animo indomabile, eclettico, precoce e dotato di una prosa facile e scorrevole, produsse in poco più di una decina d’anni romanzi, pamphlets, dialoghi e prose diverse animante da una vis polemica corrosiva e implacabile in cui la protesta, la fustigazione dei costumi, dei vizi e dell’ipocrisia della società non risparmiava nessuno: i potenti, i preti, i pedanti, le donne e soprattutto il Papato. Il radicalizzarsi dello scontro personale con la famiglia Barberini e soprattutto con il Papa Urbano VIII (Maffeo Barberini) costarono a Pallavicino una persecuzione senza quartiere culminata con la pena capitale che seguì una prigionia lunga e spietata. Opere quali Il Divorzio Celeste, La Baccinata Antibarberiniana, La Pudicizia Schernita, Il Corriero Svaligiato e La Retorica delle Puttane costituiscono il culmine formale e contenutistico della poetica veemente e dissacrante, oscena e corrosiva, della satira e dello sberleffo dissacratore. Il mio intervento intende fornire un’analisi quanto più possibile ampia e articolata dei contenuti della celebre Lettera dalla Prigionia di Pallavicino (1641) opera complessa e densa dove l’autore rivendica il proprio valore letterario e il diritto alla denuncia delle altrui corruzioni, ipocrisie e nefandezze, in una sintesi elevatissima di senso della giustizia, consapevolezza della libertà narrativa e letteraria, rivolta contro l’arbitrio e la brutalità di chi governa e opprime. Un vero manifesto contro l’ingiustizia e l’oppressione, atto di vibrante protesta contro il secentesco ‘mondo alla rovescia’ e ribellione contro la logica del torto che, come scrisse Manzoni, “non resta che farlo o patirlo”.

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